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LEGIO LINTEATA
L'INIZIAZIONE MILITARE NEL SANNIO
Filippo Coarelli
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Il seguente saggio di Filippo Coarelli descrive la funzione politico-militare e sacrale che avevano alcuni templi sannitici, in primis quello di Pietrabbondante, e commenta l'antico rito iniziatico della Legio Linteata traendone spunti per nuovi studi e rivisitazioni. Inoltre, proprio a seguito delle deduzioni sui due temi affrontati, afferma che forse la narrazione liviana del giuramento dei Linteati deficita di qualcosa, non potendosi ambientare nel sito della battaglia finale delle Guerre Sannitiche, Aquilonia appunto, una cerimonia di così grande importanza per il nostro popolo. Avvallando ciò che ha scritto Adriano La Regina, Coarelli spiega come invece l'area sacra dell'attuale Pietrabbondante potrebbe aver avuto un ruolo fondamentale per una "sacratio" come quella del Linteati, identificandola però con l'antica Cominium. In verità, che Pietrabbondante non fosse Bovianum Vetus è un dubbio che da tempo dimora nella mente di tanti studiosi dell'antico Sannio, non ultimo Franco Valente, architetto-storico molisano, che già negli anni ottanta nel rileggere Livio scriveva della possibilità di identificare l'area sacra di Pietrabbondante con Aquilonia ed il vicino abitato "sotto le tre morge" con Bovianum.
Gli studi più recenti indirizzano le ipotesi di ubicazione e quindi la ricerca dell'ultima fortezza sannita nel Sannio settentrionale, nella parte di territorio compreso tra Cassino, Atina, San Vincenzo al Volturno (l'antica Samnia) e Venafro, ipotesi avvallata anche dai recenti ritrovamenti archeologici di antichi complessi "Teatro - Tempio", cioè di "cominium" sia a Pietravairano che a Roccavecchia nelle vicinanze di Pratella, due luoghi abbastanza vicini ed ambedue posizionati nella valle del fiume Volturno nei pressi del Matese settentrionale, in un'area adiacente al quadrilatero citato. Lo studio di questi nuovi siti archeologici potrebbe apportare ulteriori conoscenze alla toponomastica sannita ed accentuare l'ipotesi che Duronia (citata da Livio nello stesso episodio dell'ultima grande battaglia tra sanniti e romani, insieme a Cominium ed Aquilonia) si trovava veramente da quelle parti. Trovata Duronia si restringe enormemente il campo di ricerca per Aquilonia.
Per ulteriori approfondimenti sull'argomento si rimanda a: " "Delenda Akudunniad", la " Legio Linteata" ed anche al saggio " Alla ricerca dei templi perduti: il complesso Teatro-Tempio di Pietravairano" di Nicolino Lombardi.
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1. Come per quasi tutti i popoli dell'Italia antica, la storia dei Sanniti inizia per noi, sostanzialmente, al momento del primo contatto con i Romani: e cioè, in coincidenza con il primo trattato romano-sannita del 354 a.C. (1). Inevitabilmente, nella situazione di totale penuria di fonti dirette, autoctone, le genti italiche ci sono note, se prescindiamo dai pochi frustuli di documenti greci, solo tramite le informazioni trasmesseci dai vincitori. In particolare, la storia politico-militare non sfugge a questo drastico condizionamento, mentre diverso appare il caso di una storia più ampia e differenziata, di carattere sincronico, interessata alla ricostruzione delle strutture economico-sociali e ideologiche, che può basarsi sull'archeologia o anche sull'antiquaria antica, meno inquinata da scelte "politiche".
Da questo punto di vista sembrano da rivalutare alcuni dati trasmessici dall'annalistica romana relativi al modo di arruolamento e all'armamento della legio linteata e di altri corpi dell'esercito sannita, liquidati con sufficienza dalla storiografia tradizionale, anche la più recente e avvertita (2). A tale scopo, dovremo ovviamente tener conto dei risultati delle più recenti ricerche archeologiche, che hanno arricchito in modo determinante le nostre conoscenze sulla società sannitica, e in particolare dello scavo nel santuario di Pietrabbondante (3).
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Ricostruzione grafica del foro di Cosa (IV sec. a.C.)
In alto a destra il Comitium con il tempio.
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2. Inizieremo con una citazione (4):
"L'elemento che può essere comunque più indicativo per l'identificazione di Pietrabbondante con Cominium è proprio il complesso costituito dal teatro con il tempio retrostante, allineati sullo stesso asse secondo uno schema compositivo che evolve indubbiamente dalla tipologia del comitium, quale è nota a Roma e nelle colonie latine, che nel II secolo trova applicazione nei santuari, come a Gabii e, in forma più complessa, a Palestrina.
A Pietrabbondante il tempio B non è una curia, e ciò nonostante, anche non essendo la sede del senato, poteva ospitare i lavori, come qualunque luogo inaugurato. L'edificio antistante ha i caratteri architettonici di un teatro vero e proprio, e certamente svolgeva funzioni sceniche in occasione dei ludi".
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Paestum - Versante nord-occidentale.
A - Anfiteatro; E - Ekklesiasteria;
T - Tempio della Pace; F - Foro; G - Ginnasio.
(Ricostruz. grafica arch. A.C. Carpiceci)
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Tuttavia, la connessione del tempio con il teatro, e anche del resto l'inclusione del teatro in una perimetrazione quadrata, abbastanza singolare, con duecento piedi di lato, suggeriscono che il teatro stesso fosse un luogo inaugurato, un templum, e quindi avesse i requisiti necessari per convocarvi i "comitia". Il confronto con i comitia si basa qui, ovviamente, sulla documentazione emersa da scavi recenti, che hanno rivelato in varie colonie latine (Cosa, Paestum, Alba Fucens) la presenza di aree comiziali circolari, con gradini (5), ispirate agli ekklesiasteria della Magna Grecia e della Sicilia (6) ma, a differenza di questi ultimi, inclusi entro aree quadrate, certamente inaugurate, e
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terminati a una delle estremità (quella settentrionale) dalla curia: complessi certamente ispirati a modello del Comizio urbano (7), che assume questa forma in un rifacimento di età medio-repubblicana. La recentissima scoperta di un quarto esempio, quello della colonia latina di Fregellae (8), sembra portare una conferma definitiva all'ipotesi di La Regina: ne riassumeremo qui, in breve, le caratteristiche.
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Lo scavo, portato a termine nel 1991, ha rivelato una struttura analoga a quelle già note in precedenza, ma con alcuni elementi di differenziazione. Qui interessa in particolare la seconda fase del complesso, la più monumentale, databile nei primi anni del II secolo a.C.
L'abituale struttura, comprendente il comizio circolare e la curia, preceduta da un tribunal, è inclusa entro un'area regolare, di forma rettangolare, divisa in due settori di dimensioni diverse: quello più piccolo, a nord, è costituito dalla curia, racchiusa su tre lati da un portico, sul quale si apre una serie di tre ambienti per lato; quello più grande, a sud, di pianta quadrata, racchiude l'area gradinata circolare del comizio.
Il confronto con Pietrabbondante è puntuale: analoga vi è l'integrazione dei singoli elementi architettonici entro un'area rettangolare, divisa in due settori diseguali,
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Fregellae A Comitium - B Curia
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destinati rispettivamente al tempio ed ai portici laterali a nord, al teatro a sud. Nonostante alcune limitate discordanze, determinate probabilmente da diverse esigenze funzionali - principale tra queste la disposizione dei portici, aperti verso
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l'esterno a Fregellae, verso l'interno a Pietrabbondante - la coincidenza tra i due impianti architettonici appare impressionante, e conferma in pieno l'ipotesi di La Regina, e cioè la derivazione del complesso sannitico dal modello di comizio diffuso nelle colonie latine. Sembra anzi possibile identificare quest'ultimo proprio nello stesso esempio di Fregellae (o, alternativamente, in quello che doveva esistere in altre colonie latine, alcune delle quali, come Isernia, erano insediate in pieno territorio sannitico), che è probabilmente il più recente tra quelli finora scoperti, e comunque l'unico in cui appaia completamente realizzato uno schema architettonico chiuso e gerarchizzato.
La dipendenza potrebbe essere confermata dalla cronologia dei due complessi: inizio del II secolo per Fregellae, fine del II secolo per Pietrabbondante.
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Pietrabbondante A Teatro - B Tempio
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Non è certamente priva di significato, per quanto qui interessa, la notizia liviana (9) relativa alla migrazione a Fregellae di 4000 famiglie sannite e peligne, già avvenuta nel 177 a.C., mentre un'analoga situazione è documentata a Isernia dalla nota iscrizione dei Samnites inquolae (10).
Non è difficile identificare in tali fenomeni migratori, che certamente non fecero che accentuarsi nel corso di tutto il II secolo, una delle possibili chiavi interpretative per la comprensione del rapporto culturale tra colonie latine e insediamenti sannitici, che ci è rivelato dall'analisi dei grandi complessi architettonici esaminati in precedenza.
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Fregelle - Ricostruzione grafica della Curia e Comitium e del santuario di Esculapio.
3. Il confronto può essere spinto più avanti, partendo da un'ulteriore considerazione: la natura cioè di tempio inaugurato delle aree comiziali, che si rivela anche attraverso la pianta quadrata o quadrangolare di questi (11) e che sembra rinviare ad un'analoga situazione anche nel caso del teatro di Pietrabbondante, racchiuso entro uno spazio quadrato, e probabilmente destinato, anche se non in modo esclusivo, alle assemblee dei Sanniti Pentri: assemblee che dobbiamo immaginare di natura militare, oltre che politica, analogamente ai comitia centuriata romani, come non ha mancato di sottolineare La Regina. Questi ha anche notato (12) che il santuario più antico, poi sostituito dal "teatro e dal tempio B", occupava in origine l'area compresa tra questi due edifici. Si doveva trattare di un piccolo tempio ionico, affiancato da colonnati e chiuso entro un recinto quadrato, databile tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. (13) da esso provengono le numerose armi, in gran parte romane, trovate negli scavi del secolo scorso e in quelli recenti: prova dell'uso di dedicarvi le spoglie nemiche in un periodo corrispondente a quello delle guerre sannitiche. Nella stessa direzione va interpretata l'iscrizione con dedica alla Vittoria, appartenente alla fase più tarda, che conferma la continuità delle funzioni esercitate dal santuario (14).
L'aspetto più antico di questo, un'area quadrata chiusa sui lati da portici e conclusa a nord da un tempietto, conferma la natura di templum del teatro, che verrà più tardi ad occupare lo stesso luogo. Altrettanto significative appaiono le dimensioni dell'area, un quadrato di circa 55 metri di lato, pari a 200 piedi sannitici di 0,275 m.: del tutto corrispondente, cioè, all'impianto descritto da Livio come luogo di iniziazione della legio linteata, che sarebbe stato realizzato ad Aquilonia nel 293 a.C. (15)
Prima di rivolgerci di nuovo a quest'ultimo, è però indispensabile ampliare il confronto tipologico ad altre strutture sacrali dell'area sannitica.
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Già La Regina aveva proposto una possibile analogia con l' hortus della Tavola di Agnone. Esiste comunque almeno un altro santuario che corrisponde perfettamente
alla fase più antica del complesso di Pietrabbondante: il Santuario di San Giovanni in Galdo (16). Si tratta di un'area quadrata, limitata su ogni lato da muri e conclusa verso il fondo da un tempietto, anch'esso quadrato. La presenza di due portici laterali viene a completare una struttura, identica in tutti gli aspetti alla fase più antica di Pietrabbondante, se si escludono le dimensioni, notevolmente più ridotte (25,60 m di lato, pari a circa 90 piedi oschi), e la cronologia più tarda (fine del II secolo a.C.).
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Il santuario di San Giovanni in Galdo
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Sembra comunque inevitabile la conclusione che ci troviamo in presenza di una tipologia caratteristica per i più antichi santuari sannitici, o comunque per una particolare categoria di questi, la cui funzione può forse venir identificata attraverso un esame più attento delle strutture stesse e dei confronti possibili.
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Quello che caratterizza San Giovanni in Galdo rispetto agli altri santuari sannitici contemporanei è la rigorosa chiusura dello spazio sacrale mediante un muro di recinzione che si estende a tutti i lati e, dobbiamo supporre, la presenza di una porta a chiusura ermetica sul lato meridionale. Questa connotazione è ulteriormente accentuata dalla mancanza della scalinata, e quindi di un accesso, sul lato anteriore del tempio, il cui podio si presenta perfettamente continuo e senza alcuna interruzione.
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Il santuario di San Giovanni in Galdo. In primo piano a sinistra, parte del muro di recinzione.
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Si doveva trattare, di conseguenza, di una sorta di "adyton", normalmente inaccessibile: caratteristica che rimanda, con tutta probabilità, a una funzione particolare, che richiedeva riti esclusivi e segreti, e comunque aperti a un numero limitato di fedeli: non sembra azzardato pensare a riti di iniziazione. Non sfuggirà che una funzione del genere si addice particolarmente al santuario di Pietrabbondante, centro sacrale, ma allo stesso tempo anche politico-militare dei Pentri.
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4. Dobbiamo ora tornare a un argomento già sfiorato in precedenza: la descrizione dell'apprestamento rituale che, secondo Livio (17), sarebbe stato realizzato dai Sanniti ad Aquilonia nel 293 a.C.:
"Più o meno al centro dell'accampamento si recintò un'area con graticci e tavolati, ricoperta con stoffe di lino, delle dimensioni di 200 piedi su ogni lato. Qui, dopo la lettura di un antico libro di lino, il sacrificio venne compiuto da un sacerdote dal nome di Ovio Paccio, persona di nobili natali, che a suo dire aveva tratto quella cerimonia da un antichissimo rituale sannita, di cui si erano serviti i loro antenati quando si erano accordati in segreto per togliere Capua agli Etruschi.
Portato a termine il sacrificio, il comandante, a mezzo di un araldo, ordinava di condurre avanti i più nobili per stirpe o per azioni, che venivano introdotti uno alla volta. Qui si trovavano, oltre agli altri apprestamenti cultuali, destinati a colmare gli animi di emozione religiosa, degli altari, collocati al centro dell'area recintata, vittime uccise tutto intorno e centurioni disposti in giro, con le spade sguainate.
Ognuno di essi veniva allora condotto verso gli altari più come vittima sacrificale che come partecipe del sacrificio ed era obbligato con giuramento a non rivelare quanto avesse visto e ascoltato in quel luogo. Lo costringevano a giurare con una formula terribile, fatta di maledizioni destinate a ricadere sulla sua testa, sulla famiglia e sulla stirpe, qualora avesse mancato in battaglia di spingersi dove i comandanti avessero ordinato, o fosse fuggito dalla prima linea o non avesse immediatamente ucciso chi avesse visto fuggire.
Alcuni che all'inizio si rifiutarono di giurare vennero uccisi intorno agli altari e i loro corpi, abbandonati tra le altre vittime sacrificate, furono di monito agli altri perché non opponessero a loro volta un rifiuto. Una volta impegnatisi con tale giuramento solenne i primi dei Sanniti, a dieci di essi, scelti dal comandante, venne chiesto di scegliere un uomo ciascuno, e così via, fino a completare il numero di 16.000: questi vennero chiamati Legio Linteata, dal lino che rivestiva il recinto, entro il quale la nobiltà era stata consacrata. Vennero ad essi consegnate splendide armi ed elmi con alti cimieri, perché apparissero più alti degli altri. A questo si aggiunse un secondo esercito di poco più di 20.000 uomini, non inferiore per prestanza fisica né per gloria militare né per armamento alla Legio Linteata".
(la possibilità che si tratti in origine di una fonte antiquaria risulta anche dal ricordo della stessa operazione in Paul. Fest, p. 102 L.: "Legio Samnitium linteata appellata est, quod Samnites intrantes singuli ad aram velis linteis circumdatam non cessuros se Romano militi iuraverunt").
Livio sembra qui introdurre, nel fluire della narrazione annalistica, una sorta di pausa "antiquaria", destinata a sottolineare la particolare solennità del momento che precede lo scontro di Aquilonia. Una soluzione del tutto analoga la ritroviamo a proposito di un altro momento centrale delle guerre sannitiche, nel 310, quando viene introdotta una lunga descrizione dell'equipaggiamento dell'esercito sannita:
"Vi erano due eserciti sannitici, caratterizzato il primo da scudi ricoperti d'oro, il secondo da scudi ricoperti d'argento... Le tuniche dei primi erano policrome, quelle dei secondi di candido lino".
È importante notare che i due episodi in questione, quello del 310 e quello del 293, mettono in scena due membri della stessa gens, padre e figlio: rispettivamente, L. Papirius Cursor, quattro volte console e nel 310 dittatore per la seconda volta e L. Papirius Cursor, console del 293 (19). Lo stretto rapporto, che è quasi di identità, tra i due fatti d'arme, è stato notato da tempo, e talvolta spiegato con una duplicazione (20). Lo stesso Livio, del resto, sottolinea chiaramente la relazione tra i due episodi (21).
Anche senza ricorrere a una soluzione estrema, come la duplicazione, si deve pensare che le informazioni sull'episodio più antico fossero scarsissime, ciò che dovette indurre Livio a servirsi, per completare le lacune, del materiale relativo all'episodio più recente: questo sembra confermato anche dalla strettissima relazione tra le due descrizioni dell'equipaggiamento sannita, che caratterizza queste, e solo queste, occasioni, come non manca di sottolineare ancora una volta lo stesso Livio (22).
A un esame più attento, appare anzi evidente che si tratta di due parti di uno stesso testo: la descrizione delle armi che appare a proposito dell'evento del 310 doveva trovarsi in origine subito dopo la descrizione del giuramento della Legio Linteata, proprio dove ci attenderemmo una più ampia descrizione dell'equipaggiamento di questa e dell'altro esercito, che è invece sintetizzata da un semplice "bis arma insignia data", cui si aggiunge solo il dettaglio delle "cristatae galeae, ut inter ceteros erninerent", calco quasi letterale di "galeae cristatae, quae speciem magnitudini corporum adderent" che troviamo nel testo relativo al più antico episodio (23).
Siamo dunque in grado di ricostruire una lunga descrizione dell'esercito sannita, che sembra tratta piuttosto da una fonte antiquaria che da una fonte annalistica: l'attribuzione puntuale, "storicizzata" a due episodi diversi (ma strettamente collegati, come abbiamo visto) delle guerre sannitiche richiede una spiegazione: nonostante l'insistenza di Livio sulla "novità" che avrebbero rappresentato tanto la cerimonia iniziatica quanto l'armamento (24), sembra infatti evidente che si doveva trattare di fatti correnti e tutt'altro che eccezionali.
Resta comunque da chiarire il motivo che indusse a introdurre questo frammento "antiquario" proprio in coincidenza di episodi collegati ambedue con membri della gens Papiria. Dobbiamo in primo luogo notare che il testo non ha trovato nessuna grazia presso gli storici moderni, nonostante la sua ovvia rilevanza: da ultimo, E.T. Salmon ne ha pronunciato una radicale condanna (25) identificandovi una rielaborazione tarda, ispirata all'armamento dei gladiatori Sanniti.
Ora, a parte il fatto che anche quest'ultimo dovrebbe derivare, in ultima istanza, da più antiche armi dell'esercito sannita, si può facilmente accertare, sulla base delle numerose rappresentazioni pittoriche, l'aspetto particolarmente sontuoso di queste nel IV secolo a.C. (26). Un confronto puntuale con la descrizione di Livio è poi riconoscibile in un notissimo frammento di pittura funeraria proveniente dall'Esquilino, sul quale non insisterò, rimandando a quanto ho già scritto altrove (27). Mi limiterò qui a ribadire, ancora una volta, che si tratta di un documento contemporaneo ai fatti riportati da Livio. Resta semmai da spiegare la ragione per cui in ambedue i casi si tratti di Papirii; inoltre, da identificare la fonte da cui deriva lo stesso Livio.
Restando all'interno della documentazione pittorica, va ricordato il passo di Festo, in cui si menziona un affresco con la rappresentazione del trionfo di L. Papirius Cursor, il console del 293, nel tempio di Consus, da lui fondato sull'Aventino dopo il trionfo del 272 (28): esistevano quindi a Roma documenti figurativi suscettibili di documentare l'aspetto dell'armamento sannitico, in epoca contemporanea agli episodi che qui interessano, e nel caso specifico questi sono collegati proprio a uno dei due membri della gens Papiria di cui ci stiamo interessando. Di queste scene possono darci un'idea le pitture provenienti da un'altra tomba dell'Esquilino, il cosiddetto "Sepolcro Arieti" (29), dove può riconoscersi una scena di trionfo preceduta da rappresentazioni di combattimenti, in cui si possono identificare gli episodi che avevano determinato la concessione del trionfo al personaggio sepolto nella tomba, certo un membro importante dell'aristocrazia repubblicana.
Se però la descrizione liviana dipende, almeno parzialmente, da un documento figurativo, esso può forse essere collegato con un monumento preciso, il tempio di Quirino in colle (30).
Sappiamo da Livio (31) che L. Papirio Cursore, il console del 293, dedicò il tempio di Quirino, che nessun autore antico attribuisce a un voto da lui fatto nel corso della battaglia (e del resto l'edificio non avrebbe potuto esser terminato in un tempo così breve); si deve pensare che esso sia stato votato dal padre nel corso della sua dittatura, mentre il figlio lo dedicò e lo ornò con le spoglie del nemico.
Plinio (32) aggiunge che: "secondo Fabio Vestale, L. Papirio Cursore realizzò per primo, dodici anni prima dello scontro con Pirro, un orologio solare presso il tempio di Quirino, momento della dedica di questo, che in precedenza era stato votato da suo padre".
Il collegamento tra il dittatore del 310 e il console del 293 riappare di nuovo in rapporto con la costruzione del tempio di Quirino, dove erano conservate, come trofei di vittoria, proprio le armi dell'esercito sannita descritte da Livio nell'excursus più volte citato. È probabile che il tempio - come quello, prossimo e contemporaneo di Salus, e quello di Consus, realizzato dallo stesso Papirio Cursore, e certamente molti altri, come si ricava da vari indizi (33) - presentasse una decorazione pittorica, con precise rappresentazioni delle campagne sannitiche che ne avevano determinato la costruzione: non si può escludere che proprio in queste pitture si possa riconoscere una delle fonti della descrizione liviana. E stato già notato, del resto (34), che lo stesso Livio, a proposito della dedica del tempio di Quirino, sembra rifarsi non a un testo di origine pontificale, ma piuttosto a un documento di carattere trionfale, analogo, ad esempio, alla colonna di Duilio (35): si potrebbe pensare ad un'iscrizione esposta nello stesso tempio, analoga a quelle documentate in casi analoghi (36).
Tutte queste considerazioni inducono a riconsiderare con più fiducia il frammento "antiquario" di Livio, che appare derivato - direttamente, o piuttosto indirettamente - da documenti di grande valore, praticamente contemporanei ai fatti narrati, che furono probabilmente raccolti da un annalista antico, forse lo stesso Fabio Pittore.
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5. Se tutto questo è vero, il rito collocato da Livio al campo di Aquilonia può essere reinterpretato come un documento storico reale: non nel senso di un evento puntuale, ma piuttosto come un documento di carattere etnografico affidabile, anche se in parte deformato in funzione polemica, come mostrano i particolari macabri sull'uccisione dei renitenti, che possono anche venir interpretati in modo meno tendenzioso, come vedremo.
Il carattere iniziatico della cerimonia non può sfuggire, ed è del resto affermato a chiare note dallo stesso Livio: "ritu quodam sacramenti vetusto velut initiatis militibus (37)". Si tratta dunque non già di un uso nuovo ed isolato, sia pure tratto da modelli antichi, ma di un costume corrente: una sacratio, tipo di iniziazione militare largamente nota ai popoli italici (ed anche agli Etruschi) (38). È quasi inutile insistere sulla funzione sacrale rivestita in antico dalle stoffe di lino (39): l'uso riguarda qui non solo l'abbigliamento dei soldati, ma anche la recinzione del luogo destinato alla cerimonia e lo stesso liber linteus da cui è tratto il rituale.
Siamo dunque in presenza di un templum (40) destinato a funzioni particolari, che ne giustificano anche le notevoli dimensioni (200 x 200 piedi): utilizzato cioè per l'iniziazione militare dell'esercito sannita, o meglio, di un particolare corpo di élite, la " Legio Linteata" appunto. La descrizione dell'apprestamento ci è apparsa affidabile, anche per la precisione delle misure e degli altri particolari tecnici, a differenza, come si è visto, della lettura "evénementielle" che Livio ne fornisce. Se ne deduce che la localizzazione ad Aquilonia non è accettabile: come è possibile infatti che la complessa e certamente lunga cerimonia si svolgesse al campo, immediatamente prima di una battaglia decisiva e in presenza del nemico? Tutto induce a collocarla in un tempo e in un luogo diversi: un luogo attrezzato allo scopo, nel quale non possiamo non identificare il sito di raccolta, dove doveva svolgersi l'inquadramento iniziale delle nuove leve.
Questo luogo, nel caso del Sannio Pentro, non può che essere il santuario di Pietrabbondante, in cui Adriano La Regina ha giustamente identificato una "capitale" politico-sacrale dei Pentri, proponendone l'identificazione con Cominium.
Le caratteristiche militari del santuario, a partire almeno dalle guerre sannitiche, risultano evidenti dalle numerose armi, prede belliche in gran parte tolte ai Romani: in perfetta simmetria con il culto capitolino di Roma. Non è certo un caso se, nella sua ricostruzione immediatamente precedente la guerra sociale, il tempio principale di Pietrabbondante, ricostruito a tre celle e con tre altari, si ispirò al modello del tempio capitolino.
L'aspetto più antico del tempio, caratterizzato da un recinto chiuso di pianta quadrata, di 200 piedi di lato, probabilmente con un sacello sul lato settentrionale, appare perfettamente confrontabile con la struttura provvisoria descritta da Livio. Inoltre, il santuario di San Giovanni in Galdo, probabile replica ridotta di un modello più antico e prestigioso (in cui non è difficile identificare quello di Pietrabbondante) costituisce una conferma, per le sue caratteristiche del tutto analoghe e qui perfettamente conservate, del carattere iniziatico di queste particolari strutture.
Di conseguenza, la localizzazione a Pietrabbondante delle particolari cerimonie di iniziazione militare, ricostruibili tramite il testo di Livio, appare come la soluzione più probabile. Quanto alla cerimonia in se, una volta espunte le sottolineature polemiche della fonte romana, apparirà con chiarezza la struttura tipicamente iniziatica che ad essa è sottesa.
Fra le connotazioni più evidenti a riguardo vanno segnalate (41):
- la segregazione all'interno di un apposito edificio, rigorosamente recintato e impenetrabile alla vista;
- l'isolamento dell'iniziando;
- la segretezza del rito, di cui è interdetta la divulgazione;
- le particolari formule di giuramento;
- le torture (fisiche o psicologiche): in questo caso, la minaccia incombente della morte, che a sua volta costituisce l'elemento di fondo, simbolico, della cerimonia, intesa come morte e rinascita rituale;
- la conclusione del rito, che determina l'appartenenza a uno speciale organismo collettivo, distinto da particolari insegue esteriori.
Si tratta di caratteristiche diffuse universalmente nei riti di passaggio, e in particolare in quelli iniziatici, da tempo analizzati nelle società tradizionali, la cui presenza nelle società antiche del Mediterraneo appare sempre più evidente alla ricerca contemporanea. Non stupisce che in strutture fortemente conservatrici, quali quelle dei popoli italici, l'esistenza di queste caratteristiche ci si riveli in una forma particolarmente pura (42).
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Il testo è tratto da: LA TAVOLA DI AGNONE NEL CONTESTO ITALICO - Lingua, storia, archeologia dei Sanniti.
Convegno di studio - Agnone 13-15 Aprile 1994 - Cosmo Iannone Editore - Isernia 1996
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NOTE
1) Liv. VII 19, 4; Diod. XVI 45, 8. Cfr. E. T. SALMON, Samnium and the Samnites, Cambridge, 1967, pp. 187-194.
2) Liv. X 38, 2-13. Si veda SALMON, op. cit., pp. 102-105; 182-188.
3) Da ultimo, A. LA REGINA, I Sanniti, in Italia omnium terrarum parens, Milano, 1989, pp. 301 ss. I dati sono raccolti nel catalogo della mostra Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I secolo a.C. (Isernia, 1980), Roma, 1980.
4) LA REGINA, art. ctt., pp. 421 s.
5) Sui comitia, in generale: C. KRAUSE, Zum baulichen Gestalt der republikanischen Comitiums, in "Rom. Mitt." LXXXIII, 1976, pp. 31 ss.; F. COARELLI, "Il Foro Romano. Periodo repubblicano e augusteo", Roma, 1985, pp. 12 ss.
6) Oltre alla bibliografia cit. alla nota prec. cfr. E. Da Muto, L'ekklesiasterion in contrada San Nicola di Agriento, in "Palladio" XVI, 1967, pp. 164 ss.
7) COARELLI, loc. cit. alla nota prec.
8) COARELLI, Fregellae, in EAA, II suppl., 1971-1994, II, p. 703, fig. 806 a p. 702.
9) Liv. XLI 8,8.
10) CIL I-2, 3201. LA REGINA, I Sanniti, p. 310.
11) COARELLI op. cit. a nota 5, pp. 18 s.
12) A. LA REGINA, Il Sannio, in Hellenismus in Mittelitalien, Gottingen, 1976, I, pp. 223 ss.; Id., art. cit. a nota 3, p. 421.
13) lbid.
14) LA REGINA, il Sannio, p. 226; Id., I Sanniti, p. 422.
15) Liv. X 38, 2-16. Cfr. sopra, nota 2.
16) Hortus di Agnone: LA REGINA, Il Sannio, p. 226. San Giovanni in Galdo: Pentri e Frentani, op. cit. a nota 3, pp. 269 ss.; LA REGINA, il Sannio, pp. 237 5.; In., I Sanniti, p. 404, tav. V.
17) Liv. X 38, 2-16
18 Liv. LX 40, 1-4
19) L. Papirius Cursor, dictaror 310: RE XVIII, Papirius 52 cc. 1039 Ss. (Munzer); L. Papirius Cursor, consul 293: ibid., Papirius 53, cc. 1051 ss. Su questi personaggi si veda F. CASSOLA, "I gruppi politici romani nel III secolo a.C.", Trieste, 1962, pp. 137 ss.
20) K. J. BELOCH, Romische Geschichte, Leipzig-Berlin, 1926, p. 412
21) Liv. X 38, 1: "L. Papirius Cursor, qua paterna gloria, qua sua, et bellum ingens victoriaque quantam de Samnitibus nemo ad eam diem praeter L. Papirium patrem consulis pepererat".
22) Liv. X 38, 2: "Et forte eodem conatu apparatuque omni opulentia insignium armorum bellum adornaverant".
23) Rispettivamente, Liv. X 38, 12 e IX 40, 3.
24) Liv. X 38, 3: "nova lege". IX 40, 1: "novis armorum insignibus".
25) SALMON, loc. cit. a nota 2. Si veda anche M. Sordi, "Il giuramento della legio linteata e la guerra sociale", in "I canali della propaganda nel mondo antico", (Contributi dell'istituto di Storia Antica 4), Milano, 1976, pp. 160 ss.
26) ROUVERET, art. cit. alla nota prec.
27) Da ultimo, F. COARELLI, Cultura artistica e società, in "Storia di Roma", 2, I, Torino, 1990, pp. 171 Ss.
28) Fest., p. 228 L.
29) F. COARELLI, in Affieschi romani dalle raccolte dell'Antiquario comunale, Roma, 1976, pp. 22 Ss.
30) Sul tempio di Quirinus, da ultimo A. ZIOLKOWSKI, The temples of mid-republican Rome and their historical and topographical context, Rome, 1992, pp. 139 ss.; M. ABERSON, Temples votifs et butin de guerre dans la Rome républicaine, Rome, 1994, pp. 20, 49 s.
31) Liv. X 46. 7
32) Plinio, N.H. VII 213: "princeps solarium horologium statuisse ante XII annos quam cum Pyrro bellatum est ad aedem Quirini L. Papirius Cursor, cum eam dedicaret a patre suo votam, a Fabio Vestale proditur".
33) Salus: ZIOLKOWSKI, op. cit., pp. 165 ss.
34) ABERSON, op. cit., pp. 50 s.
35) Cfr. CH. HULSEN, in Jordan - Hulsen, Topogr., I, 3, p. 407, nota 31.
36) Ad es., tempio dei Lares Permarini: Liv. XL 52, 5-6; ABERSON, op. cit., p. 34.
37 Liv. X 38, 2.
38) Sulla sacratio etrusca, Liv. IX 39, 5. Equi e Voisci (432 a.C.): Liv. IV 26, 3. In generale, F. ALTHEIM, Lex Sacrata, (Albae Vigiliae I) Zurich, 1940.
39) Cfr. ad es. Paul. Fest., p. 49 L. (capital); Sen., epist. 95, 47; Apul., Met. XI 27, 4.
40) Descrizione del templum in Fest., p. 146 L.: "Minora templa fiunt ah auguribus cum loca aliqua tabulis aut linteis sepiuntur".
41) A. BRELICH, "Paides e parthenoi", Roma, 1969, pp. 29 ss.
42) Particolarmente significativi i documenti etnologici raccolti in V. LANTERNARI, La grande festa, Bari, 1983, pp. 108 ss.: "tra l'altro, l'uso di falsi cadaveri nei riti di iniziazione tribali potrebbe spiegare la presenza delle vittime umane nel rituale sannita".
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Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia
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