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Il circuito murario del monte Cila
SANNITI



IL CIRCUITO MURARIO DEL MONTE CILA
TUTELA E CRITICITA’

Antonio Palmieri

 


Monte Cila e siti collegati



I) IL MONTE CILA è parte rilevante dell'Allifae preromana, una delle zone archeologiche più importanti dell’Appennino meridionale, la cui città romana fu preceduta da un insediamento di epoca sannitica, massima espressione del quale sono le strutture murarie del Cila. Come gran parte dei centri italici, Alife venne romanizzata e di tale egemonia la città al centro della pianura conserva resti di età repubblicana ed imperiale.
Con la definitiva sconfitta dei Sanniti la maggior parte della popolazione ridiscese a valle finché, in età sillana, con la deduzione di una colonia, la città si dotò della cinta muraria ancora ben conservata, così come altri monumenti (anfiteatro, criptoportico, mausolei, ecc.) tutti meritevoli di visita.
Già dalla lontana valle del Volturno si staglia inconfondibile la sagoma del Cila, vero e proprio scrigno della civiltà pentra, che conserva - come pochissimi altri luoghi del mondo italico - strutture megalitiche estese oltre mt. 5000
Siamo a Piedimonte Matese, ai piedi del Massiccio da cui la città ha preso il nome.
Nel tempo il Matese ha adempiuto ad efficace ruolo difensivo e di sentinella, per la posizione strategica tra la pianura campana ed il versante adriatico. Per il controllo del territorio vi furono erette fortificazioni - con imponenti cinte murarie - nei punti più appropriati allo scopo. Tali cinte, in eccellente posizione panoramica, spaziano sulla piana sottostante e controllano i passi e le vie di comunicazione, anche attraverso il contatto con altri insediamenti.
Sul Cila (m 667 s.l.m.) c’è uno dei più estesi insediamenti con tre circuiti murari pressoché completi, dei quali il primo, a doppia cortina, si estende per quasi 1500 m.
Per sinteticità editoriale ed in ossequio allo scopo del lavoro, si omette la trattazione del breve tratto murario (circa 58 m) a doppia cortina posto a quota 220 m, difficilmente leggibile, che forma un terrapieno tra gli 8 ed i 12 m con altezza fino a quasi 5 m; nemmeno considereremo cinta il tratto sotto la strada che porta al Matese, a destra del punto di intersezione con i tubi della forzata ENEL, superata l’identificazione con una terza cinta. Neppure tratteremo di podi, calcare, briglie, strade ed altri brevi tratti murari sparsi a varie quote.
Tale prima cinta muraria in opera poligonale (o meglio megalitica) si diparte dalla via Madonnelle (verso il Torrente Rivo) dal punto ove anticamente partiva la cinta doppia, per giungere al Vallone Paterno dal lato opposto del monte. Il percorso coincide con la Via Vicinale Cila. Un altro percorso ha inizio dalla sede del Parco Archeologico e del teatro di nuova costruzione.
Poiché formavano sbarramento verso l’altopiano e la capitale Bojano, tali cinte fortificate costituivano il principale elemento difensivo della Allifae pentra, insieme alla fortezza satellite di Castello del Matese, ove si rinvengono resti di mura ai piedi del castello e lungo la mulattiera che sale da Piedimonte Matese, con cui formano un blocco a testa di ponte per il controllo e la difesa del territorio. Risalendo il monte, che ha ospitato genti sin dalla preistoria, dopo un primo tratto con blocchi di piccole dimensioni si notano i megaliti del primo dei camminamenti-circuiti difensivi che cingono la montagna. L’effetto su chi osserva per la prima volta le antiche opere è stupefacente.
Il percorso segue l'antico camminamento nella doppia cinta di mura, e i megaliti risaltano per proporzioni e imponenza, immersi negli uliveti sui terrazzamenti recenti.


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Il Cila, come gran parte del Matese (Tifernus Mons di liviana memoria), di cui costituisce una propaggine, riassume in acqua e pietra tutta la sua storia fatta di trasformazioni geologiche e prime tracce di insediamento antropico: vera sentinella silente e immobile, ha assistito al passaggio dall’antro primordiale alle costruzioni, dal recinto dei pastori al recinto sacro, dalle grotte al tempio, dalle coltivazioni degli uomini del neolitico al giardino – orto medievale, col ciclico passaggio dalle rupi alla città e viceversa. Un'escursione permette di viaggiare nel tempo, attraverso un insediamento che dalla grotta del paleolitico è passato ai primi agricoltori ed ai pastori che ancor oggi, in misura sempre minore, lasciano le loro impronte sui nostri rilievi.
La ricchezza di acque e le prime piste seguite dagli animali alla ricerca di vegetazione e cibo, in conseguenza dei mutamenti climatici dettati dalle glaciazioni, hanno favorito il passaggio di uomini ed armenti; tali piste, trasformatesi in tratturi, hanno segnato il paesaggio perché funzionali all'accidentato territorio appenninico. L’areale dell’Allifae preromana - della cui comunità le fortificazioni erano pertinenze - era confinato dai corsi d'acqua del Volturno e dell’Arvento (presso Gioia Sannitica), dall’Esure (Esere Mons: oggi Monte Miletto) e, confine più discusso, dal fiume Lete nel territorio di Ailano. Recenti indagini archeologiche hanno portato più a sud il confine naturale prima identificato nei Monti Miletto e Gallinola, poiché la piana del lago Matese è risultata pertinente a Bojano. La comunità dell'Allifae sannitica era costituita da genti di lingua osca appartenenti alla tribù dei Pentri di cui si possono ammirare, coi ritmi dell’antichità, le imponenti opere megalitiche, in particolare cinta doppia di circa 1.500 m che costituisce la prima linea di fortificazione. Riportata in evidenza da Cuore Sannita attraverso un meticoloso lavoro di manutenzione nel punto oggi maggiormente fruibile è possibile osservare la cortina inferiore per circa 280 m, e quella superiore - in blocchi più massicci ed in alcuni punti meglio lavorati - per oltre mt. 118


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In tale punto, centrale per chi osserva dal Volturno, le mura appaiono più imponenti (h max 6.35 m) non solo per necessità difensive ma anche a dimostrazione della potenza dei costruttori. Le cortine sono costituite da conci calcarei cuneiformi, di dimensione variabile (da 0.40 di lato sino ad oltre m 1.35 x 1), con superficie grossolanamente levigata e contorni in maggior parte irregolari (il più grande supera i 2 m. per 0.90), sovrapposti ad incastro senza calce o legante e con zeppe (piccoli blocchi o scaglie cuneiformi) a riempire i vuoti interstiziali. La tecnica costruttiva è molto simile in tutte e tre le cortine del Cila. Il materiale di cui le mura sono costituite, il calcare locale, non rende agevole una datazione diretta ma, probabilmente, le cortine che in epoca sannitica fungevano da sbarramento, vedetta e camminamento militare, sono state erette su altre più antiche. Maiuri le datò tra il VII ed il VI sec. a.C. ma, stante l’utilizzo intensivo durante le guerre sannitiche è usuale datarle al IV/III sec. a.C. (cfr. sez. II). Tali fortificazioni erano pertinenti ad un areale e costituivano, unitamente a necropoli, vici (villaggi) pedemontani e vallivi e santuari (certamente presenti nell’area dato il ritrovamento di materiale votivo e di copertura) le strutture necessarie alla vita di un popolo prevalentemente dedito alla pastorizia e che necessitava di grandi spazi comuni. Sin dalle fasi più risalenti, ovvero dal primo ferro, la forma “italica” di insediamento prevalente doveva essere quella dei piccoli villaggi rurali, adatti allo sfruttamento delle risorse agricole della fascia pedemontana nonché allo sfruttamento pastorale delle montagne cui non erano estranee le attività artigianali (produzione di manufatti per le attività indicate, esigenze militari e quotidiane) e lo sfruttamento delle acque di cui la zona è molto ricca. Resti di un probabile villaggio sono stati identificati nell’area posta immediatamente a valle dell’attuale zona di S. Michele (odierna Alife) non lontano dalle necropoli di Conca d’Oro e Cimitero. La scarsità dei ritrovamenti e la mancanza di fonti scritte non permettono tuttavia una precisa ricostruzione della vita degli abitatori del Cila almeno sino al periodo delle guerre sannitiche.


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La cortina ove meglio conservata, ha uno spessore medio di 1.70 m e, nel tratto centrale, è perfettamente visibile il riempimento ottenuto con le scaglie calcaree risultanti dalla estrazione. La stessa cortina, che nella maggior parte del circuito appare lavorata con una tecnica vicina alla I maniera del Lugli, pur con la presenza di zeppe e spazi, in tale tratto è costituita da poligoni di grosse dimensioni, col faccia-vista ben levigato, meglio squadrati e quasi privi di spazi interstiziali (alla II maniera). Le necessità difensive ed il voler mostrare mura prospetticamente imponenti e tecnicamente di buona fattura, ovvero la propria capacità tecnologica, hanno determinato il posizionamento di tali blocchi imponenti e levigati in un punto di confluenza usato sin da tempi risalenti per condurre genti e greggi ai pascoli posti più in alto (incrocio vicinale Casino Martini) ove un grande varco ed alcuni rozzi gradini intagliati nella roccia hanno fatto ipotizzare la presenza di una porta. Interventi antropici, riutilizzo dei materiali, sismicità, rendono difficile la lettura dell’area ma, tuttavia, la tesi della esistenza di porte (G. Conta H.) è certo più ragionevole di quella dell’uso di scavalcamenti lignei considerata la ricchezza dei tempi, il bestiame, e la difficoltà di percorrere agevolmente e velocemente strutture lignee alte oltre sei metri. Qua e là, secondo le stagioni, funghi di vario tipo, erbe come la rucola, mirto, frutta selvatica, antica.


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Il tracciato prosegue avendo a destra il paramento della cortina muraria, costituita perlopiù di blocchi di minori dimensioni, per diverse centinaia di metri. La stessa, attraversata dal sentiero, continua a sinistra, ovvero a valle, nei pressi di un piccolo stazzo e procede poi secondo la via vicinale sino al vallone dopo circa 1363 m di cammino. Parte della cortina, come biforcandosi a formare un terrapieno, procede invece verso la seconda cinta ad incontrare il tracciato che circumnaviga il Cila riallacciandosi alla cortina posta a Nord a quota 530. La cinta doppia percorsa doveva essere quindi in origine di circa 1500 m totali (1363 + 200 mancanti sul lato strapiombante sul Rivo).
Il Cila presenta una seconda linea di fortificazione a quota variabile tra i 423 m (41 21 46,4 N – 14 22 26,3 E) ed i 516 m, al di sopra del vallone Paterno in un altro punto a strapiombo che non necessitava di difesa, dopo un percorso di 1.295 m circa. I due lati delimitati da profonde gole, i valloni, stante l’impossibilità di aggiramento, non hanno avuto necessità di opere difensive Questo secondo circuito è costituito da una sola cortina muraria e presenta una altezza massima di poco superiore ai 3 m con alcuni tratti ben conservati.
Nell’area apicale esistono strutture ampiamente diffuse costituite da mura di dimensioni più contenute estese mediamente per 2 km, stradine, vicoli ed ambienti di varie dimensioni, tali da far ritenere la presenza di una acropoli. Queste testimonianze furono in passato identificate col “locus altus ac munitus” dal quale Fabio Massimo avrebbe controllato le mosse di Annibale nel 217 a.C.


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Al Cila è collegata un’area sacra: le terrecotte architettoniche, il materiale votivo fittile e bronzeo (Zeus e Corridore del Cila), la lastra tufacea in osco ed altri materiali indicano la probabile presenza del più importante santuario dell’area alifana, almeno dal V secolo a.C. Vista dall’alto, la zona presenta una forma triangolare con le tre cime poste quasi a formare i vertici di un triangolo. Il panorama, unitamente alla presenza dello specchio d’acqua, il bacino ENEL, rende piacevolissima la visita.
Sul lato Nord del Cila, verso Castello del Matese in direzione della piana del Lago, corre una terza e completa linea di fortificazione costituita da un muraglione a cortina singola, sbarramento per chi proveniva da Bojano o comunque dall’altopiano, che si sviluppa tra i 530 ed i 550 m di quota per una lunghezza di circa mille metri con blocchi in vari punti di notevoli dimensioni, alti sino ad oltre mt. 3
Ai fini della comprensione della funzione di tali testimonianze archeologiche va considerato che gli Italici non usavano a monte solo dei semplici accampamenti temporanei ma anche (Sepino) strutture consistenti in grandi insediamenti stabili per comunità numerose o per la necessità di rimanervi a lungo. Data la struttura dei circuiti megalitici che cingono il Cila non sembra che questi siano stati costruiti da piccoli gruppi di transumanti. Il sito è strategico perché controllava la valle e il passaggio verso Bojano, capitale della tribù Pentra, e l’estensione dell’insediamento è notevole.
La struttura trova quindi ragion d'essere nelle esigenze di difesa e di raccolta del bestiame, inducendo la popolazione a edificare recinti fortificati di grandi dimensioni, nell’ottica di un sistema di comunicazioni tra alture, nel periodo in cui non si era ancora passati a veri insediamenti urbanizzati.
Alle cinte fortificate corrispondeva a valle una distribuzione di nuclei abitativi con opportunità produttivo-commerciali (vici); quindi fattorie, gruppi di abitazioni o capanne sparse, necropoli, collegamenti viari e santuari (con agricoltura ed attività, anche artigianali, collegate) mentre la rimanente e maggior parte del territorio era certamente destinata al pascolo ed alla silvicoltura. Pur non avendo una grande organizzazione sociale, e vivendo perlopiù in gruppi di abitazioni o capanne sparse, gli Italici solevano riunirsi per la celebrazione di culti, in occasione di feste oltre che per le esigenze costruttive e di difesa, legate ai grandi spazi fortificati descritti e pertinenti alla classica forma di insediamento pagano-vicanico.



II) TUTELA e CRITICITA’ - La principale difficoltà incontrata nella stesura, ovvero tradurre in scrittura quanto mostrato attraverso slide, ha reso lo scritto tanto poco scorrevole quanto tanto fedele all’intervento.
Sottolineare come centri molto piccoli possano conservare presenze archeologiche non indifferenti -come un circuito murario importante, unitamente alla opportunità di far conoscere le mura del Cila al di fuori del Sannio interno, è stato il punto di partenza.

Rapporti. La foto di una bellissima villa con piscina affacciata sul tratto iniziale del circuito murario, con gli oleandri piantumati di recente che rendono difficoltosa la lettura delle mura a valle, introduce alle difficoltà che sorgono nei rapporti tra i privati proprietari delle aree ove insistono le mura, spesso difficilmente identificabili, e tra questi e gli enti locali cui si aggiungono quelle tra enti comunali, sovracomunali ed i rapporti con le Soprintendenze. Tali difficoltà hanno guidato verso il titolo “tutela e criticità”. Appreso dell’unione di sei comuni per ottenere il riconoscimento Unesco delle mura poligonali, la difficoltà di aver dovuto modificare l’intervento, in particolare su alcuni piccoli suggerimenti, sono state superate dagli eventi. Si passa ad elencare alcune criticità.
La classica mappa tratta dal Salmon attribuisce il territorio della Allifae preromana ai Sanniti Pentri. Le difficoltà di carattere generale che normalmente si presentano sono di tre tipi: datazione delle mura, funzione ed attribuzione geografica, cioè, areale di appartenenza ab antico ed attuale. Il circuito del Cila copre una ampia area appartenente oggi a due comuni amplificando le difficoltà già esistenti in capo ad un unico titolare.
Il Cila è situato tra due profondi valloni, ai lati, con Castello del Matese a monte e Piedimonte Matese a valle. Poco discosto il Monticello, davvero un piccolo monte. L’area è sovrastata dal Miletto/Gallinola, secondo la letteratura scientifica prevalente, confine a monte dell’areale dell’Allifae Sannitica; studi recenti, in parte pubblicati, hanno spostato il confine a valle, riproponendo la problematica del territorio di appartenenza.
I circuiti murari si trovano in una zona ricca di acque ed antropizzata sin dalla parte finale del paleolitico e proprio la ricchezza di acque e la vegetazione hanno favorito il passaggio di genti ed armenti, cacciatori e pescatori. Ancora oggi Piedimonte Matese fornisce a Napoli e parte della Campania acqua per gli usi comuni.
Torniamo al circuito murario che corre dal vallone Rivo al v. Paterno, per 1500 m, di cui 1280 esistenti e/o leggibili, su 2 livelli, con doppio muro e camminamento ampio tra 10 e 15 m. Unitamente al Monticello ed a Castello del Matese costituisce probabilmente dal punto di vista della funzione un unico sistema.

La datazione. In una prima visita Amedeo Maiuri datò le mura al VII/VI sec. a.C., periodo dei reperti provenienti dalle necropoli evidenziate dai lavori per la realizzazione della centrale ENEL all’inizio dello scorso secolo (gran parte del materiale proveniente dal Cila e dalle sue pendici è al Mu.Ci.Ra.Ma., la cui visita è utile ad un inquadramento storico-geografico). Il Maiuri ritenne come più antico il circuito a quota più elevata e lo datò collegando la necropoli all’esterno delle mura, i reperti, la tecnica primitiva di lavorazione, il carattere di difesa dei pascoli montani ad un periodo anteriore alla conquista della Campania da parte dei Sanniti, quando questi si asserragliavano contro il pericolo di attacchi da parte delle genti osche campane. Dal VII sec. a.C., infatti, la documentazione archeologica acquista caratteristiche tali da definire la cultura dei popoli che occupavano la zona. Tuttavia rispetteremo la datazione usuale riferita al periodo delle guerre sannitiche.


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L’areale e i confini. Uno sguardo al Matese ed ai capisaldi di questo massiccio fortificato: Isernia, Boiano, Sepino ed Allifae. La Callifae di liviana memoria ricorda la conquista romana di Allifae, Callifae e Rufrae. Il territorio dei Pentri è il più esteso tra i Sanniti. La ns. mappa Salmon di IV sec. a.C. evidenzia, in blu’, una zona che secondo studi recenti non apparterrebbe più all’areale dell’Allifae preromana i cui confini vengono tradizionalmente ricavati da una bolla (985/988 d.C.) con la quale l’arcivescovo di Benevento Alfano cedeva al vescovo di Allifae Vito una diocesi compresa tra Esule/Miletto, Callifae, Arvento e Volturno. Il territorio, avrebbe ricalcato quello occupato dai Romani, a sua volta coincidente con l’areale sannitico compreso quindi tra Telesia, Boiano, Sepino, Callifae ed il Volturno che lo separava da Cubulteria. I due confini Arvento (Gioia Sannitica) e Callifae (Gallo/Muro Rotto) sono stati sempre discussi e discutibili, i confini naturali a monte, la cresta del Miletto, ed a valle, il fiume Volturno parevano certi.
Callifae (Roccavecchia di Pratella), già insediamento neandertaliano, a 15 km in linea d’aria dal Cila, zona ricca d’acqua e sede dello stabilimento Lete, presenta un raro caso di teatro sannitico interamente scavato nella roccia e mura di epoca sannitica a sorreggere l’alzato medievale. Boiano era la nostra capitale, la capitale dei Sanniti Pentri, come poi Isernia.
In evidenza il Cila, Castello del Matese (già casale di Piedimonte M.) e Monticello. In località Capo di Campo (oggi Castello del Matese), ai piedi del Miletto, è stato realizzato uno scavo Unimol tra il 2010 ed il 2016. Lo scavo ha riportato alla luce un saltus estivo tra i cui materiali una stadera e dei pesi da telaio, ma anche una serie di bolli in lingua osca, attribuibili al secondo secolo a.C. ed al meddix della famiglia dei Papiis, di Boiano. Ciò pone due problemi: in primis l’area della piana del lago Matese, nel II sec.a.C., sarebbe appartenuta ai Sanniti Pentri e non ai Romani, in secundis l’area, e forse anche il Cila, sarebbe stata in parte gestita dalla comunità di Boiano, non di Allifae, riproponendo in antico una doppia competenza territoriale, come oggi tra due diversi comuni. Il pavimento del saltus romano è costituito dal riutilizzo del tetto di epoca sannitica ed i bolli su tegola hanno attribuito al meddix di Boiano la manutenzione dell’edificio della cui fase sannitica residua solo un setto murario composto da tre blocchi monolitici, parte di un edificio pubblico, probabilmente sacro, ad un crocevia tra Boiano, Sepino, Isernia e il versante tirrenico (Allifae, quindi verso Capua, Telesia, Venafrum). Pure quest’area, rimanendo al tema della funzione, è ricca di sorgenti e verdeggiante tanto da essere usata ancora oggi a pascolo, nelle immediate vicinanze del lago Matese.

La funzione. Tornando ai circuiti murari del Cila, quello sul lato N/E avrebbe sbarrato la strada agli attaccanti di ritorno dalla capitale; è il riferimento agli attaccanti ed alle necessità di difesa, che data la costruzione delle mura al IV sec. a. C. Pertanto la datazione classica viene riferita alle guerre sannitiche quando i Romani prendono Allifae per ben tre volte (327 (326), 310, 307 a.C.). Un punto di domanda resta: se i Sanniti prendono Cuma, Pompei, Pozzuoli, Napoli, ecc. nell’ultimo quarto del V secolo, le mura potrebbero esser già state edificate in tale periodo.
Delle mura a valle ed a monte dell’abitato di Castello del Matese, costruite ad evitare che l’attaccante aggirasse il Cila ove passava la strada per il versante molisano, abbiamo detto. Va aggiunto che l’area era collegata ad un santuario importante, il santuario di Ercole a Campochiaro, dove ancora oggi esiste una strada denominata “via vecchia per Alife”, che corre di lato alla recinzione del santuario, in direzione Alife, ad indicare l’antico collegamento.
Il Monticello, invece, posto a sx. del Cila per chi guarda, presenta una struttura, forse una piccola casermetta di avvistamento, utile per il collegamento ottico con il castello di S. Angelo d’Alife (che si eleva poggiando su mura poligonali), in modo da controllare il territorio non solo da un punto di vista militare, attraverso un sistema di punti di difesa del territorio e di controllo dell’itinerario transappenninico. Secondo alcuni autori S. Angelo d’Alife sarebbe sede di una struttura pre-urbana, l’antica Allifae preromana.


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L’assenza di manutenzione. Sant'Angelo, nonostante un sostanzioso finanziamento, presenta una pineta che rivegeta e delle mura poco visibili.
Anche a Castello del Matese dinanzi alle mura sannitiche con alzato medievale erano stati improvvidamente posizionati degli oleandri dopo un finanziamento quasi milionario. Dopo tante rimostranze ed un conflitto di competenza tra enti (Comunità Montana, Ente Parco e Comune locale), son stati parzialmente eliminati. Come avere un Picasso e coprirlo con una tela.

Le acque. L’esistenza di due sorgenti (Torano e Maretto), e di una condotta idrica che conduce alla centrale ENEL, pongono problemi di servitù oltre ad infiltrazioni e cascate. La fuoriuscita di acqua dai tubi crea una cascatella molto scenografica ma anche una serie di problemi perché il camminamento/sentiero è spesso allagato e poco fruibile.

Infiltrazioni, crolli e spanciamenti. Le infiltrazioni portano le mura a crollare e spanciarsi, con necessità di personale qualificato per risistemarle, oltre che primariamente di fondi.


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Manutenzione. Le foto evidenziano un bacino artificiale, una condotta idrica e la prima cinta muraria che, nonostante la distanza dal centro ed il costante e progressivo abbandono degli uliveti che rendono incolta la zona e difficoltosa la manutenzione, si presenta in buono stato. In passato le mura erano tenute pulite dai contadini che pur non ne comprendevano la funzione definendole ciclopiche mentre oggi che (le mura) vengono studiate gli uliveti sono abbandonati e si ha difficoltà a leggerle.

I reperti. Parte del materiale proveniente dal Cila ha carattere cultuale includendo un coppo di colmo, un Ercole in assalto, il solito cinturone ed il corridore del Cila. Sarebbe stato costruttivo un confronto col Dott. Giulierini sul “Corridore del Cila”, ritenuto da molti il pezzo principe del Mu.Ci.Ra.Ma.; il Maiuri lo portò al M.A.N.N. ove fu inventariato divenendone patrimonio ed ove è tornato nel Luglio 2019, scaduto il prestito concesso. Tuttavia, se da un punto di vista giuridico il ritorno del bene al “legittimo titolare” pare ineccepibile, in punto di fatto il corridore, nella indifferenza generale amplificata dal torpore estivo, è tornato a riposare in un cassetto.

Manutenzione tra proprietà(ri) e servitù. Molti tratti murari si trovano in area privata, altri in area pubblica e nell’area ove insistono in gran parte le mura, vi è una servitù di acquedotto a ridosso di sorgente e centrale. Il camminamento si snoda in un’area sostanzialmente privata gravata da una ulteriore servitù a favore della società elettrica che non interviene come dovuto, mentre la manutenzione è curata o da privati o dalla Comunità Montana. Troppi soggetti per soluzioni e TUTELE condivise. Sulla strada vicinale, infatti, vi è una servitù pubblica trattandosi di fondi privati che affacciano su una strada vicinale o interpoderale. Quindi, mentre da un lato è permessa la fruizione alla collettività, dall’altro sorgono grossi problemi per la manutenzione che, come la gestione della strada ricadrebbe in capo ai privati – che oggi spesso hanno abbandonato i fondi già difficilmente identificabili stanti le sovrapposizioni tra intestatari catastali, legittimi proprietari e possessori di fatto - ma, con concorso del Comune che dovrebbe consorziarsi con gli stessi (Ex art. 825 c.c. e C.d.S. sulle strade vicinali ad uso pubblico vi è un diritto di godimento a favore della collettività gravante sulle strade il cui titolare è il Comune, cui la legge attribuisce particolari poteri per regolare l’uso ed assicurare la manutenzione delle strade da parte dei proprietari).

Ulteriori vincoli. A ciò si aggiungono i vincoli motivati da altre ragioni come i poteri relativi al vincolo di conservazione delle bellezze naturali, alla conservazione dei beni di interesse artistico ed archeologico, coi conseguenti divieti di edificare ed altre limitazioni alla proprietà edilizia.

Limiti alla fruibilità. Oltre alle predette limitazioni la manutenzione e la pulizia di mura ed aree dalle erbacce risente pure della impossibilità di usare diserbanti o altro data la presenza di sorgenti ed aree a pascolo evidenziando un'altra problematica. Infatti, se l’aspetto positivo è che gli animali a pascolo sono utili in quanto tengono i terreni puliti e liberi dalla erba alta, d’altro canto, col loro peso, indeboliscono le strutture rendendo complicato preservarne l’integrità. Alcune aree private sono manutenute da volontari di Cuore Sannita a loro spese e con fatica.


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Le piante rivegetano. La potatura eccessiva fa seccare le radici che fungono da collante per le mura su cui crescono corbezzoli e lecci sempre più alti e pesanti. Difficile è capire se tagliare la pianta alleggerendo il peso e rischiando di seccare le radici e far venire giù le mura, oppure lasciar perdere. Il problema andrebbe affrontato dalle Soprintendenze più che da dilettanti, pur volenterosi. Alta professionalità necessita anche per progettazioni e finanziamenti. Un confronto fotografico delle mura con tecnica più avanzata ove la Conta Haller aveva identificato una probabile porta mostra lo stato attuale che rende illeggibili i gradini intagliati nella roccia e parte dell’antica strada di collegamento tra primo e secondo circuito.

Estensione e dimensioni. I circuiti sono stimabili in almeno 7 km (compresa l’area apicale o acropoli estesa mediamente per 2 km lineari che si aggiungono ai 5 dei circuiti in opera poligonale o megalitica), in gran parte esistenti, leggibili o identificabili con mura alte fino a 6.38. Il Cila occupa 22,4 ettari in piano e 100 in totale. Una estensione tanto importante porta con sé problemi conseguenti.


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Incendi ed atti vandalici. Altro grave problema è costituito dagli incendi. Uno, di probabile natura dolosa, aveva liberato un camminamento ampio 10/15 m e percorribile per circa 300 m, rendendolo leggibilissimo. Tuttavia dal 2012 nessuno è più intervenuto e la vegetazione, in particolare la tagliente ampelodesma si è riappropriata completamente del camminamento ostruendo le mura. Integrano gli atti vandalici la distruzione e/o i furti delle panchine, le staccionate divelte, i danneggiamenti alla sede del Parco.

Visibilità a sprazzi. Nella stragrande maggioranza dei casi le aree archeologiche vengono “sistemate” in occasioni particolari, quando si realizzano degli spot, positivi solo perché almeno in tali occasioni le mura vengono restituite alla collettività che partecipa pure massicciamente. Trattasi di manifestazioni isolate. I problemi permangono nei restanti 364 giorni dell’anno in cui lo stato è peggiore delle nostre mura che conserviamo in uno almeno decente.


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Fig. 15 - Porte a confronto (foto autore)


Unione. La notizia, che inorgoglisce, dell’unione delle 6 città per il riconoscimento UNESCO costituisce un importante passo per porre, unitamente a convegni importanti come il presente, l’attenzione su mura e problematiche connesse portando a soluzioni condivise che superino lo scarso coordinamento che caratterizza le genti italiche. Successivamente altri Comuni, tra cui lo stesso Piedimonte Matese, hanno aderito al progetto delle 6 città capofila, ovvero Alatri (Lazio), Alba Fucens (Abruzzo), Amelia (Umbria), Orbetello(Toscana),Pietrabbondante (Molise) e San Pietro Infine (Campania).
Questa sorta di VER SACRUM moderno è servito ad illustrare il Cila e chi lo ha frequentato costruendo villaggi ed imponenti fortificazioni, necropoli e santuari bellissimi ma, soprattutto, lasciando tracce che ancora oggi, pur inconsciamente, sono dentro di noi come bagaglio culturale che neppure la colonizzazione romana degli antichi areali italici (Allifae, Telesia, Aesernia) ha cancellato del tutto. Fu, anzi, la fusione dei popoli delle nostre terre coi romani ad originare la nazione che vide il proprio nome impresso su una moneta a Corfinio, ITALIA.
L’auspicio è che queste meravigliose porte veicolino la conoscenza del territorio italico e delle problematiche ad esso legate in modo che il mondo intero possa scoprire sempre più le nostre bellezze.


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Fig. 16 - Ruderi del teatro di Callifae


 


 




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Pubblicato il 12 Novembre 2022
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